giovedì 20 settembre 2007

La necessità di una cooperazione penale internazionale

Dopo il cruento delitto di ‘ndrangheta avvenuto a Ferragosto nella ridente cittadina tedesca di Duisburg si è riproposto il problema della mancanza di una rete internazionale di comunicazione e scambio di informazioni sulla situazione penale dei soggetti pregiudicati in uno o più Stati.
La presenza di un circuito del genere, adesso come in altre circostanze, avrebbe consentito lo svolgimento di indagini più celeri ed efficaci e dunque permesso l’individuazione e la punizione dei rei dei crimini posti in essere.
Qualcuno potrà, forse a ragione, obiettare l’insensatezza della costruzione dei recinti allorché i buoi siano già scappati.
Eppure un ragionamento simile finisce con l’essere un alibi per l’immobilismo politico degli organi nomopoietici nazionali e sopranazionali, che – finora – non hanno mai profuso un reale e concreto impegno sul fronte della cooperazione penale internazionale.
Il partito dell’Italia dei Valori, per mezzo dell’onorevole Leoluca Orlando, ha espresso le proprie allarmate preoccupazioni per l’inattuata istituzione del sistema mediatico menzionato, di cui peraltro – per la prima volta – aveva parlato Giovanni Falcone.
La tecnologia permette di condividere, anche a distanze geografiche rilevanti, dati di ogni genere attraverso internet.
Che difficoltà si frapporrebbero alla diffusione, da parte di ogni Stato, delle schede giudiziali dei rispettivi pregiudicati?
La creazione di un sistema così strutturato inciderebbe non soltanto nel momento patologico della persecuzione dei reati già consumati ma anche nella fase fisiologica della gestione degli appalti pubblici, che resterebbero preclusi a soggetti in odore di criminalità.
Si potrebbe iniziare a livello comunitario, per poi estendere l’ingranaggio – frattanto già rodato – su scala internazionale.
Per gestire il sistema sarebbe utile istituire un Comitato Consultivo, formato dai rappresentanti dei Governi degli Stati aderenti (magari dai Ministri degli Interni e della Giustizia), e un’Authority indipendente, i cui membri (possibilmente magistrati o comunque giuristi) sarebbero designati con cadenza triennale dal Comitato medesimo in condizioni tali da garantire turnariamente a tutti gli Stati l’accesso di un proprio rappresentante.
L’Italia potrebbe avere in Orlando, giurista di spessore e politico raffinato, un eccellente rappresentante in seno all’Authority.


Rebecchi Lorenzo

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